Archive for novembre 2006

Distro story

novembre 30, 2006

Uno dei siti che visito più spesso è http://www.distrowatch.com, un sito che tiene traccia di tutte le distribuzioni di Linux. E’vero che c’è chi dice che “due distribuzioni di Linux sono…una di troppo!” ma è pur vero che la libertà del software consente di adattarlo alle esigenze di ognuno e questo provoca una frammentazione dei prodotti. Pensate a Debian, Knoppix, Damnsmalllinux, Gentoo, ognuna diversa ed insostituibile, l’una ampia e stabile, la seconda live, la terza ridotta all’osso, la quarta source-based. La distribuzione è un po’come la squadra del cuore, difficilmente si cambia. Ci si rimane affezionati, se ne riconoscono i pregi e ci si “dimentica” di osservarne i difetti. Alla fine la prima distro non si scorda mai. Eppure al momento di scegliere la propria distro bisognerebbe fare molta attenzione. La storia più o meno recente di Linux ci parla di innumerevoli distro nate e morte, fuochi di paglia che hanno brillato per una sola stagione. Neanche la memoria ci aiuta molto in questo viaggio nel passato ed allora colgo l’occasione per usare una preziosa risorsa messa a disposizione da distrowatch, ovvero l’archivio storico delle visite effettuate alle pagine delle varie distro sul sito. Si tratta ovviamente di una stima solo approssimativa della diffusione di una distro in quanto, ad esempio, difficilmente chi gestisce un server va in giro a visitare siti su quella macchina, tuttavia è uno strumento interessante per osservare le dinamiche del software libero negli ultimi anni. Iniziamo.

Siamo nel 2002. La distribuzione n°1 è, la ricorderemo tutti, la mitica Mandrake. Chi non l’ha usata alzi la mano. Allora era una vera rivoluzione, l’unica che la mettevi e funzionava davvero. KDE era onestamente più avanti di Gnome all’epoca e quindi è notevole il fatto che nonostante tutto RedHat riuscisse ad essere seconda. Seguiva Gentoo (che già c’era), quarta era Debian, al quinto posto la prima sorpresa, Sorcerer, una distro source-based che anticipò l’idea di Gentoo ma poi finì per soccomberne. Sesta SUSE, settima l’immortale Slackware, Dall’ottavo al decimo posto un trio di distro dalle alterne fortune, Lycoris, Lindows, Xandros.
Da segnalare al 12°posto Libranet, uno dei primi tentativi di portare Debian sul desktop, al 17° LinuxFromScratch, al 18° SCO divenuta poi famosa per il suo processo, e solo al 21°posto Knoppix.

2002

1 Mandrake 473
2 Red Hat 453
3 Gentoo 326
4 Debian 311
5 Sorcerer 253
6 SuSE 250
7 Slackware 216
8 Lycoris 209
9 Lindows 151
10 Xandros 123
11 Vine 113
12 Libranet 94
13 Beehive 87
14 ROOT 83
15 CRUX 83
16 Turbolinux 79
17 LFS 78
18 SCO 76
19 Peanut 70
20 ELX 67
21 Knoppix 63

Passa un anno e siamo nel 2003. Al primo posto ancora Mandrake, al secondo RedHat, al terzo l’eccezionale balzo di Knoppix. Evidentemente il mondo ha scoperto la potenza delle distro Live.
Quarta e quinta le rocciose Gentoo e Debian, al sesto posto Yoper…chi?? Yoper, una distro che oggi credo ben pochi ricorderanno. Era una distro che voleva troppo da se stessa, ottimizzata per 686, sia live che installabile, poteva usare rpm, deb e tgz dalle maggiori distro. Un tipico esempio di progetto non sostenibile, eccellente nell’immediato ma senza un progetto innovativo per il futuro. Dal 7° all 11° posto le solite distro. All’11° compare DamnSmall, al 14° arranca Libranet, Sorcerer mostra tutto il suo fiato corto al 20° mentre al 22°compare MEPIS, una Ubuntu ante-litteram. Ecco la classifica.

2003

1 Mandrake 770
2 Red Hat 631
3 Knoppix 489
4 Gentoo 460
5 Debian 428
6 Yoper 390
7 SUSE 366
8 Slackware 357
9 Lycoris 220
10 Xandros 175
11 Lindows 157
12 Damn Small 141
13 Vector 134
14 Libranet 132
15 Morphix 131
16 Ark 114
17 College 108
18 Movix 99
19 Vine 90
20 Sorcerer 90
21 Aurox 89
22 MEPIS 85

Ancora un anno e siamo nel 2004. Mandrake è diventata MandrakeLinux e si mantiene prima. Redhat è diventata Fedora ed è ancora seconda, Nei primi 10 si nota la scalata di MEPIS, giunta al 6°posto e la comparsa di PCLinuxOS, un liveCD installabile derivato da Mandrake e gestito da Synaptic, un ottimo progetto dal pessimo nome.
Al 13° posto compare Ubuntu, al 16° SLAX, un interessante LiveCD basatato su Slackware, Yoper crolla al 17°posto ed al 22° compare Arch, una distro in stile Slackware ma con la gestione dei pacchetti integrata.

2004

1 Mandrakelinux 1,457
2 Fedora 1,202
3 KNOPPIX 910
4 SUSE 858
5 Debian 832
6 MEPIS 694
7 Gentoo 670
8 Slackware 669
9 PCLinuxOS 451
10 Damn Small 416
11 Xandros 367
12 Red Hat 343
13 Ubuntu 300
14 Vine 290
15 FreeBSD 290
16 SLAX 263
17 Yoper 242
18 Linspire 226
19 Vector 192
20 Gnoppix 192
21 KANOTIX 186
22 Arch 180

Siamo al 2005 ed l’anno di Ubuntu che balza direttamente al primo posto. Quando grazie al valore oggettivo e quanto grazie al bombardamento mediatico è tutto da vedere. Mandrake diventata Mandriva resiste al secondo posto, al terzo sale SUSE, che onestamente è sempre stata una distro molto usabile e alla lunga è stata premiata dal pubblico, Fedora scende al quarto posto complice anche alcune release un po’troppo “allegre”, MEPIS sale al quinto posto (secondo me sulla scia di Ubuntu a cui alla fine si adeguerà anche nella pacchettizzazione), Debian rimane comunque in scia alle distro più alla moda al sesto posto. Gentoo rimane costante come contatti ma scende in classifica. Mi viene da dire che la sua base sia molto solida ma non sia stata fatta una grande opera di proselitismo. Oltre il 10° posto troviamo tanti nomi noti che combattono per non cadere nell’anonimato. Ecco la classifica.

2005

1 Ubuntu 2546
2 Mandriva 1664
3 SUSE 1451
4 Fedora 1211
5 MEPIS 1145
6 Debian 867
7 KNOPPIX 830
8 Damn Small 687
9 Gentoo 647
10 Slackware 613
11 FreeBSD 460
12 Xandros 426
13 PCLinuxOS 426
14 Kubuntu 407
15 CentOS 350
16 SLAX 346
17 Vector 345
18 KANOTIX 339
19 PC-BSD 275
20 Puppy 251
21 Arch 251
22 Linspire 250
23 Red Hat 241
24 Zenwalk 221
25 VLOS 193

Siamo negli ultimi 12 mesi, praticamente il 2006.
Ubuntu è ancora al primo posto ma la sua fuga sta perdendo vantaggio sulle avversarie. Suse, diventata openSuse, conquista prepotentemente il secondo posto e, con l’accordo recente con Microsozz, si avvia ad essere una delle più credibili dal punto di vista aziendale. Fedora con un paio di buone release riprende quota e risale sul podio. Mandriva, ormai apparentemente abbandonata dalla sua base di entusiasti, scende al quarto posto ma soprattutto la sua discesa non sembra arrestarsi. MEPIS, passata nel mentre ad Ubuntu, regge al quinto posto seppur in lieve discesa. DamnSmall viene sempre più apprezzata complici anche, credo, le chiavi USB ormai a prezzi stracciati. Debian resiste nella top-ten al settimo posto, PCLinuxOS rilase all’ottavo, la terna ormai storica Slack-Knoppix-Gentoo tiene pur senza entusiasmare. Dietro si nota l’arrivo di Puppy, un’altra interessante distro molto piccola, di Sabayon, una distro derivata da Gentoo ma più usabile, a dimostrazione che l’idea di Gentoo può avere ancora abbrivio se opportunamente sviluppata, infine tiene Arch senza entusiasmare.

Ultimi 12 mesi

1 Ubuntu 2650
2 openSUSE 1934
3 Fedora 1417
4 Mandriva 1061
5 MEPIS 1033
6 Damn Small 836
7 Debian 798
8 PCLinuxOS 742
9 Slackware 648
10 KNOPPIX 620
11 Gentoo 619
12 FreeBSD 494
13 Kubuntu 487
14 Vector 415
15 CentOS 411
16 Zenwalk 384
17 Puppy 380
18 SLAX 357
19 KANOTIX 354
20 Xandros 328
21 Sabayon 308
22 Arch 288
23 PC-BSD 266
24 Xubuntu 247
25 Red Hat 213

Cosa ci racconta questa carrellata degli ultimi 5 anni di distribuzioni di Linux?

– per prima cosa dobbiamo evitare le distribuzioni “meteora”, quelle che solcano il cielo brillando e poi scompaiono per sempre. Sorcerer nel 2002, Yoper nel 2003 sono due tipici esempi di distro dalle grandi idee ma non sostenibili.
– poi occorre anche stare alla larga dalle distro troppo orientate al mercato. E’lecito che un’azienda voglia guadagnarci ma è meno lecito che lo faccia a scapito e non insieme agli utenti. Libranet nel 2002-2003, Mandrake e RedHat più recentemente, sono tipici esempi di aziende che hanno lasciato i loro utenti un po’nella merda!
– noto invece che ci sono alcune distro che rimangono molto stabili (in tutti i sensi! :-)) al passare degli anni.
Guarda Debian, quarta nel 2002, quinta nel 2003 e 2004, sesta nel 2005 e settima negli ultimi 12 mesi. Può sembrare una discesa lenta ed inesorabile ma invece a mio parere testimonia l’estrema stabilità della base di utenti. Considera anche che negli ultimi 2 anni Ubuntu ha tolto degli utenti a Debian ma molti più ne ha portati nel bacino di utenza a cui Debian potrà attingere. Oppure guarda Gentoo, terza, quarta, settima, nona, undicesima, una discesa visibile, certo, ma ecco arrivare Sabayon che sta dando nuova vita alla filosofia di Gentoo. Considera che negli ultimi 12 mesi se sommiamo le preferenze di Gentoo con quelle di Sabayon, otteniamo 927 preferenze pari al sesto posto in classifica. Insomma, si nota un andamento tipico, quando un progetto di lunga data mostra “stanchezza” (Debian, Gentoo), dei nuovi progetti portano nuova linfa (Ubuntu, Sabayon). Personalmente credo che questi nuovi progetti siano più una “scossa” ai progetti storici che dei veri sostituti. Non sarà certo Ubuntu a far morire Debian mentre con la nuova Debian 4.0 di prossima uscita è quest’ultima ad aver dimostrato di aver cavalcato il corso degli eventi.

In conclusione dico questo. Non fidatevi di progetti troppo ambiziosi, privi di una base solida, di un’idea sostenibile, progetti troppo orientati al business, progetti troppo di facciata e poco di sostanza. Usate distro di comprovata stabilità, affidabilità, efficienza. Usate Debian, Gentoo, Slackware. Magari sulle prime vi dispiacerà di lasciare la vostra Ubuntu così friendly o la vostra Sabayon così caramellosa, o la vostra SUSE così completa. Ma alla lunga ringrazierete il giorno in cui, ripensandoci, capirete di aver fatto la scelta giusta.

Politically scorrect

novembre 29, 2006

Una delle cose che sopporto di meno è l’idea del “politically correct”, che ci sia qualcosa che sia opportuno dire e qualcos’altro invece che è meglio non sia detto. E’qualcosa che mi fa veramente girare le palle (e questo non è molto politically correct! :-)) in quanto questa forma di censura morale è più strisciante, e quindi più efficace, della censura vera e propria. Piuttosto che inseguire l’ideale di un’informazione corretta attraverso un equilibrio polifonico di più voci discordanti, si preferisce la strada più comoda di intonare tutte le voci sulla stessa nota. Chi dissente viene semplicemente invitato ad allontanarsi e questo riesce particolarmente semplice in un mondo in cui i grandi mezzi d’informazione sono ormai nelle mani di pochi potenti.

Ormai della televisione riesco a vedere senza vomitare solo Report (su raitre) e Le Iene (su Italia1). Tutto il resto è semplicemente merda. Report lo hanno sospeso e spero che riprenda in primavera. Le Iene attendono solo qualche tetta e culo in più per fare la fine di Striscia la Notizia. Dei giornali riuscivo a salvare soltanto il Corriere della Sera e ilSole24ore. Entrambi si sono recentemente rivelati per quello che sono. Basti leggere il libro-verità “il Baco del Corriere” di Massimo Mucchetti, vicedirettore ad personam del Corriere della Sera, per capire quali feroci e sporche lotte di potere si combattano alle spalle della carta stampata. Ormai per chi vuole esprimere un pensiero autonomo e “politically scorrect” sono rimasti solo i libri. E ancora per un po’ i siti internet.

Se le mie preoccupazioni vi sembrano esagerate e per capire quanto sia ormai penetrato nel nostro modo di pensare (e non solo lì) l’idea del “politically correct”, vi invito a visitare questa pagina. Di cosa si tratta? Semplice, di tutti i tagli, correzioni, forme di censura operate sui cartoni animati. Si, avete capito bene, cartoni animati.
Eh si perchè anche negli innocenti cartoni animati sono in passato state impresse delle scene che, nel momento in cui furono realizzati, sembravano del tutto lecite ed oggi invece non sono ritenute “politically correct”. Tanto per dire, nel suo primo cartone animato Topolino prendeva un gatto per la coda e lo faceva roteare. Ok, non è il massimo del buongusto ma non credo ci sia da strapparsi i capelli. Invece la Disney ha ben pensato di tagliare la scena nelle successive edizioni del cartone. Chi oggi vedesse quel cartone animato pensando di vedere l’originale si troverebbe invece a vedere una rielaborazione dello stesso a posteriori. La cosa potrebbe anche essere tollerata se si trattasse di un’eccezione, invece potete vedere che si tratta di una pratica diffusa di decine e decine di rielaborazioni.

I più attenti avranno di certo ricordato che Orwell, nel suo magnifico 1984, raccontava proprio di un’opera continua di “riscrittura” della storia attraverso la rielaborazione di giornali e libri del passato ad opera di instancabili e devoti impiegati. Oggi grazie alla tecnologia digitale è possibile agire ancor più efficacemente.

1984.jpe

Una scena del film “1984”

Se vi aspettate che questa cosa abbia generato polemiche a non finire sulla rete vi sbagliate. L’unica pagina che sono stato capace di trovare in italiano sull’argomento è stata questa

http://web.archive.org/web/20051224061949/http://www.apogeonline.com/webzine/2003/09/03/01/200309030101

Esatto, avete letto bene. Ho dovuto andarla a ripescare da archive.org perchè non è più disponibile in rete, anch’essa cassata, eliminata, mai esistita. Per chi non lo sapesse www.archive.org è un sito che memorizza anche le versioni precedenti dei siti attualmente online e serba memoria anche di quelli che ormai sono scomparsi. In questo modo è possibile andare a ripescare dati che non sono più disponibili in rete. Questo servizio viene anche chiamato “The Wayback Machine”.
Questa macchina del tempo all’indietro è davvero la nostra unica speranza di mantenere intatta la nostra memoria storica. Possono modificare i cartoni animati, i film, cambieranno anche i libri e finiranno per cambiare tutto ciò su cui il copyright gli da il diritto di agire, però ancora possiamo sperare di salvare la nostra memoria condivisa nella rete.

E’per questo motivo che ho iscritto il nostro sito affinchè venga visitato e memorizzato nella Wayback Machine, sarà il nostro piccolo contributo alla memoria dell’umanità. Ora più che mai dobbiamo sentire l’importanza di quello che scriviamo, la consapevolezza che ogni nostra parola potrà essere un giorno letta come un frammento di un’epoca che la memoria umana avrà già dimenticato. Ora più che mai dobbiamo accogliere l’invito di Paul Graham a dire “quello che non possiamo dire”, e non solo per il gusto del sarcasmo pungente, di sentirci per un attimo anche noi degli Emeriti Cazzi, ma perchè “quello che non possiamo dire” è qualcosa che, se non diremo noi, non sarà mai detto, da nessuno, mai più.

Librandia

novembre 27, 2006

Vi volevo segnalare l’ottimo libro “Mathematics under the Microscope” appena rilasciato sotto licenza Creative Commons presso
http://www.maths.manchester.ac.uk/~avb/micromathematics/downloads
.

Colgo anche l’occasione per segnalare che ieri ho casualmente scoperto che l’eccellente libro di Edwards sulla funzione zeta di Riemann è in larga parte visibile presso Google Books, presso
http://books.google.com/books?vid=ISBN0486417409

Tutto ciò mi ha fatto riflettere su una cosa. Io credo che la cifra che ogni persona spende in qualcosa, poniamo in libri, non sia proporzionale al beneficio che ne ottiene quanto alle disponibilità della persona stessa. Mi spiego. Potendoselo permettere credo che ognuno di noi vorrebbe avere centinaia di film nella propria videoteca. Visto il costo dei dvd, però, ci si accontenta di comprare quelli che ci si può permettere. C’è chi se li può permettere tutti, chi se ne può permettere un paio al mese, chi nessuno. Il costo dei dvd può influire sulla quantità dei dvd comprati ma non più di tanto sulla spesa che viene devoluta agli stessi. Se io me li posso permettere tutti li comprerò comunque tutti, se non posso permettermene nessuno comunque non ne comprerò nessuno, se posso permettermene 2 potrei comprarne uno in più se costassero di meno ma la sostanza non cambierebbe. Così nei libri. Chi è appassionato vorrebbe averli tutti, chi non legge li rifiuterebbe anche se glieli regalassero. Ci sono libri poi, come quello di Edwards, che sono così specialistici e così “storici” che chiunque fosse interessato lo comprerebbe anche se glielo regalassero in pdf. Io stesso ho comprato libri che già possedevo (o avrei potuto possedere) in pdf.

Ecco allora l’idea. Perchè non fare un abbonamento flat anche per i libri? Una casa editrice potrebbe mettere a disposizione TUTTI i propri libri dietro il pagamento di una quota di abbonamento pari alla spesa attesa media dell’acquirente. Se l’utente medio spende 100 euro l’anno per i libri (faccio un esempio), più di quello non è comunque intenzionato a spendere e se tu, per la stessa cifra, gli dessi l’accesso a TUTTI i libri della tua casa editrice, otterresti tu una maggiore diffusione dei tuoi libri (una sorta di autopubblicità) e l’utente una maggiore ricchezza di contenuti. Inoltre, i libri ritenuti eccellenti verrebbero comunque comprati in forma cartacea garantendo all’editore ulteriori introiti e all’utente la soddisfazione di comprare solo quei libri che ha già avuto modo di saggiare ed apprezzare.

Sarebbe di certo ancora più auspicabile la biblioteca globale sognata da Google ma in un mondo dominato dal copyright la strada giusta è secondo me quella di “rovesciare” il copyright a favore dell’utente chiedendogli in cambio solo un’equo compenso pari a quello che comunque pagherebbe. Da questa situazione si può uscire entrambi vincitori, come Yunus ha dimostrato facendo guadagnare contemporaneamente banca e clienti.

Chissà se un giorno gli uomini riusciranno a ricostruire non solo fisicamente il grande sogno che fu dell’Antica Biblioteca di Alessandria d’Egitto.

alexlibint.jpg

Ricostruzione virtuale dell’Antica Biblioteca di Alessandria

Gomorra

novembre 26, 2006

Raramente compro i libri sull’onda del successo. Il battage pubblicitario che ahimè accompagna sempre più spesso il successo di un libro, rende sempre più difficile distinguere il libro mediocre dal libro di spessore. Allora preferisco attendere che la critica si sia sedimentata, che il libro scompaia dalle vetrine delle librerie, per poi cercarlo io e non farmi cercare da lui.

Questa volta, però, ho fatto un’eccezione. L’ho fatta per il libro Gomorra, di Roberto Saviano. Un titolo evocativo, una copertina già agghiacciante, una critica sospettosamente favorevole. Ne ha parlato Beppe Grillo, ne hanno parlato i giornali quando Saviano si è dovuto dotare di una scorta armata. Volevo aspettare ma non ce l’ho fatta. Ho provato a leggere le poche recensioni negative per raffreddare il mio desiderio di comprarlo. Alla fine ho ceduto, e l’ho comprato.

L’ho terminato poche ore fa, ed ancora il pugno allo stomaco che mi ha dato fa male, malissimo. E’un libro anomalo, ti aspetti una sequenza precisa e noiosa di eventi, ti trovi un “io narrante” che vede e racconta quello che nessuno vuol più vedere e non ha mai voluto raccontare. “Io so, ho le prove”, dice questo IO che trascende Saviano stesso in un passo di straordinaria intensità, e questo “io ho le prove” diventa beffardo quando Saviano le prove dimostra di non aver bisogno di esporle, le sue parole potenti, graffianti sono le prove più significative, quelle che nessun tribunale potrà mai omettere. Ha 27 anni Saviano e spero non me ne vorrà se dico che dalla foto in quarta di copertina ne dimostra di più. Ha lo sguardo di un uomo, uno vero, che sa, che è stato dove nessun altro è stato, da dove nessun altro è tornato indietro per parlare.

Lui parla, luoghi, fatti, persone, racconti di una Camorra assai diversa da quella che vogliamo vedere. Proprio così. La Camorra ci piace vederla in un certo modo, lotte intestine e tribali, circoscritte ed evitabili. Noi ci sentiamo fuori, al riparo, Crediamo in uno Stato di diritto che sia un’alternativa, seppur attualmente più debole, al Sistema camorristico. Non è così. Saviano descrive la Camorra nella sua cruda e spietata efficienza, un’efficienza economica ancor prima che criminale. Roberto non ti risparmia nulla, ogni pagina è un pugno in faccia, ogni pagina ti provoca tanto di quel dolore che alla fine non sai più se l’intorpidimento dei sensi che provi faccia di te più un camorrista od un nemico del Sistema. E’quello che prova lui, che in quei luoghi c’è nato, che dentro di se deve aver provato il lacerante dilemma di due vite così diverse eppure a loro modo così naturali, fuori e dentro il Sistema. Alla fine del libro ogni lettore deve sentirsi un po’Saviano dentro, ed è questo il segnale che questo libro ha colto nel segno, ci ha fatti sentire tutti camorristi, ci ha tolto il comodo velo dell’ignoranza.

Io non so se davvero ci sia ancora speranza di vita per questo malato di cancro che è l’Italia. Io so solo che, come dice Saviano, “Sapere, capire diviene una necessità. L’unica possibile per considerarsi ancora uomini degni di respirare”

gomorra.jpg

www.italia.cn

novembre 26, 2006

L’Italia come la Cina: per stare al passo con i più avanzati filtri pro-censura (e tutelare quindi, per il bene del Paese, gli interessi della mafia di Stato e del Parlamento), il Garante della Privacy Francesco Pizzini (pardon, Pizzetti), avvalendosi della consulenza illuminata della Procura di Milano (formata da noti esperti internazionali in materia di Internet e di motori di ricerca), ha colto al volo l’occasione di strumentalizzare gli ultimi casi di cronaca sulla diffusione online di video violenti per promuovere un filtro che porrà finalmente l’Italia all’avanguardia dei Paesi in cui vige la dittatura sui mezzi d’informazione!
Non sarà più possibile citare fatti e ragioni a difesa della propria libertà in Rete, noi del Biblog saremo educatamente invitati a cancellare la categoria no1984 (pena l’oscuramento del sito) e tutti vivremo felici e contenti usando la versione italiana dell’ottimo www.google.cn, pieno di video e di immagini di un’Italia vivace e in rinnovamento, dove la corruzione esiste soltanto sui libri di storia e dove i politici si sacrificano per noi, un Paese in cui le libertà di pensiero e di parola sono garantite a tutti i cittadini il cui punto di vista sia in sintonia con la versione ufficiale delle ultime linee guida emanate dal Governo…

Ci avete rotto i dischi!

novembre 24, 2006

E’ pericoloso aver ragione quando le autorità costituite hanno torto.
– Voltaire

Un’azienda americana, la Load’n Go Video ha avuto un’ottima idea. Tu compri un IPod, compri dei film, e loro ti mandano a casa l’IPod con quei film già precaricati sul tuo IPod. Una bella idea no?? Ed invece per gli studios di Hollywood, riuniti nella MPAA (curiosamente hanno un dominio .org…) si tratta di una violazione della legge. Facciamo un gioco, fermiamoci trenta secondi e provate ad indovinare la violazione.



Fatto?? Ecco, ora andate a leggere qui la denuncia ufficiale. La MPAA contesta alla Load’n Go Video di non poter “rippare” i DVD, cioè convertirli in altro formato da quello originale. In altre parole, se tu hai COMPRATO un DVD non puoi vedere il contenuto di quel DVD sull’IPod, che è un dispositivo diverso dal lettore per cui quel disco è nato. Se vuoi vedere lo STESSO film sull’IPod, devi RICOMPRARLO!

Naturalmente si tratta di una posizione assurda in cui il consumatore viene visto solo come il pollo da spennare e deve quindi rimanere privo di ogni diritto. Arriverà il giorno in cui magari ti diranno che potrai vedere quel film solo in salotto e non in cucina, o solo a Roma e non alla casa al mare, o solo in non più di 3 amici pena la multa. Questi sono davvero matti.

La MPAA avrebbe diffuso un comunicato in cui avrebbe affermato che “I pirati ci soffocano”. Anche i pirati avrebbero rilasciato un comunicato ufficiale in cui avrebbero detto “la MPAA ci ha fracassato i dischi!

Il libraio dei poveri

novembre 22, 2006

Non so se hai sentito che il premio Nobel per la Pace 2006 è stato vinto da un tale Muhammad Yunus, creatore di una banca detta “banca dei poveri” in quanto fornisce credito proprio alla parte più indigente della popolazione. Quando sentii questa notizia provai una certa sensazione di diffidenza. Pensare che il più importante premio del mondo vada ad una banca mi lasciava piuttosto perplesso. Onestamente pensavo fosse uno dei tanti, troppi istituti (e che sono troppi lo dimostrava il fatto che questo neanche lo conoscevo) che si vantano di aiutare i poveri ed invece fanno sparire il 90 e più percento dei loro fondi dentro se stessi, in progetti mai conclusi, in spese di gestione e via dicendo. Quando qualche giorno fa mi è capitato davanti il libro “il banchiere dei poveri” scritto proprio da Muhammad Yunus, mi è venuto il “prurito” di leggere le sue parole. Non chiedermi perchè ma ho la sensazione di riuscire a capire l’onestà intellettuale di una persona dalle sue parole. Tu leggi un Paul Graham, un De Crescenzo, anche uno Style e ti rendi conto che sono “brave persone”, intellettualmente oneste. Leggi un Anthony Robbins e ti accorgi che ti sta prendendo per il culo. Per meno di 7 euro valeva la pena ascoltare Yunus.

Mi è difficile trattenere da subito l’entusiasmo per questo libro. Yunus, professore universitario di economia in Pakistan, ad un certo punto ha sentito il bisogno, in qualche modo anche incoraggiato dal caso, del contatto con la realtà economica estremamente povera del suo paese. E’uscito dalla torre di avorio accademica per capire (ecco il punto, capire) la povertà. Capire la povertà è qualcosa che nessuno fa e nessuno vuole fare. Anche le organizzazioni che si definiscono umanitarie pretendono di sapere a priori quello che serve ad un povero senza avere l’umiltà di capire cosa rende davvero povera quella persona. Quindi mentre le grandi organizzazioni devolvono teoricamente fantastiliardi di dollari a progetti che dovrebbero risolvere la povertà di popoli interi ed invece finiscono per ingrassare le casse dell’elite potente e mafiosa del paese di destinazione, Yunus ebbe la straordinaria (e semplice) idea di fornire alle singole persone quel poco di cui avevano bisogno per uscire dalla povertà.

Un piccolo esempio. In Pakistan le donne sono tradizionalmente recluse in casa (il purdah, la legge islamica locale impedisce loro il contatto con il mondo esterno) e sono quindi le più povere tra le povere. Proprio a loro Yunus decise di rivolgersi. Gli fu difficile parlare con una di loro. La prima donna con cui Yunus riuscì a parlare intrecciava il vimini in casa. Comprava il vimini a 5 taka (27 centesimi di dollaro) da un fornitore, intrecciava tutto il giorno quel vimini e la sera doveva rivendere i cesti intrecciati alla persona che gli aveva fornito il vimini all’equivalente di 5 taka + 2 centesimi di dollaro. Il suo guadagno insomma ammontava a 2 centesimi di dollaro. Alla domanda del perchè non rivendesse quei cesti al mercato, facendo un guadagno sicuramente maggiore, la donna rispose che DOVEVA rivenderli a chi le aveva fornito il vimini perchè non aveva i 5 taka iniziali per comprarlo e quindi il fornitore le faceva credito in cambio del diritto di riscatto a prezzo di favore (o d’usura direi io). Insomma, dato che la donna non aveva 5 taka (27 centesimi di dollaro) era costretta a vivere sotto l’usura di chi le forniva il vimini. Con 2 centesimi soli di guadagno al giorno, appena sufficienti per sopravvivere, non sarebbe mai riuscita a metterne da parte 27 e quindi ad affrancarsi dal suo usuraio. La vita di quella donna, insomma, dipendeva da 27 centesimi di dollaro.

Naturalmente nessuna banca ti presterà mai 27 centesimi di dollaro, nessuna organizzazione mondiale farà mai un progetto per dare queste piccole cifre ai singoli. Magari costruirà un inutile dissalatore a 100 km da lì, che non entrerà mai in funzione e che costerà dieci volte quello che sarebbe dovuto costare. Ma nessuno darà mai 27 centesimi a quella donna. Naturalmente la storia di quella donna è solo un esempio. Altri avrebbero avuto bisogno di qualcosa in più di 27 centesimi ma comunque parliamo di cifre assolutamente ridicole per i nostri standard.

Yunus fu preso da una sorta di malessere interiore. Lui insegnava delle magnifiche teorie economiche e non si era mai reso conto di come andasse davvero il mondo. Decise di fare qualcosa. Iniziò dal poco, da poche centinaia di dollari per aiutare decine e decine di famiglie. Sfruttando la sua posizione accademica prese contatti con le banche tradizionali e si fece garante per i primi prestiti per questa gente che non aveva nulla con cui garantire un prestito. Eppure, quasi incredibilmente, questa gente era solvibile, restituiva il prestito. Quei poveri avevano capito che quella era la loro unica occasione di vita, avevano davvero voglia di fare qualcosa con quel denaro, non avevano mai voluto la beneficienza che la parte ricca del mondo si ostina a voler fare. Quella gente, pur povera, dimostrava di avere spirito d’iniziativa, coraggio. D’altra parte – dice più volte Yunus nel libro – se sopravvivevano nella più assoluta indigenza vuol dire che qualche qualità dovevano pur averla.

Da quel momento fu un’escalation. Prima una filiale di un’altra banca, poi una banca a sostegno statale, infine una banca autonoma, Grameen. Ma, e questa la grandezza del progetto, senza mai perdere lo spirito originario. Oggi Grameen è una banca con migliaia di filiali, ha fatto milioni di prestiti, ha aiutato milioni di famiglie ad uscire dalla povertà e a costruirsi un futuro con le proprie forze. Ha un tasso di restituzione dei prestiti di oltre il 98%, qualcosa di straordinario se si pensa che sono tutti prestiti fatti a persone che non avevano nulla per garantire il prestito, neanche la loro stessa vita continuamente minata da malattie e calamità.

Ora che ho letto il libro posso dire che Yunus deve essere una persona straordinaria. Nelle sue parole non c’è mai esaltazione, boria. Ha fatto qualcosa di straordinario, ha rivoluzionato ogni teoria economica del credito, ha sfidato la Banca mondiale, ha sputtanato tutte le varie organizzazioni “mafiose” che con i soldi dei fondi internazionali riescono a fare solo sontuosi convegni. Eppure è rimasto fedele al suo principio originario, al contatto con le persone, con la povertà. Lui vuole capire, vuole conoscere, vuole fare. Non c’è compassione in lui, Yunus afferma di non fare mai l’elemosina se non in casi di gravissima indigenza. Lui non è un messia, un santone. Lui è una persona razionale, è una persona pragmatica che preferisce ciò che funziona a ciò che “dovrebbe funzionare”.

In lui, con le dovute differenze, ho rivisto un po’lo spirito di Mattei, il fondatore dell’Eni. Mi è venuto in mente quando Yunus si è accollato la responsabilità di gestire un migliaio di stagni abbandonati per farne un centro di itticoltura che aiutasse la gente del posto ad uscire dalla povertà. Proprio come fece Mattei con la Pignone. Nata come fonderia nel 1840, riciclata nel dopoguerra come un’industria tessile ed infine rifondata come industria meccanica dall’intervento di Mattei che la assorbì nell’Eni facendola diventare in pochi lustri leader del mercato nel campo delle turbomacchine. Pochi anni fa, gettando nel cesso la nostra storia e tecnologia, Nuovo Pignone è stata venduta alla General Motors. Ma questa è un’altra storia.

La mia storia invece vuole essere un’altra ancora e Yunus mi ha aiutato a capirla. Nelle ultime pagine egli dice una cosa magnifica nella sua semplicità. Nel corso della storia l’uomo è stato sempre un lavoratore indipendente. Ognuno faceva quello che sapeva fare e viveva dei proventi della sua attività. Oggi la maggior parte della gente cresce invece con l’unica prospettiva di diventare appetibile a qualcun altro. Essere rifiutati da un’azienda per molta gente equivale alla condanna ad una vita misera. Yunus ha rivoluzionato questo dogma moderno dimostrando che ogni persona, anche la più povera tra i poveri, se sostenuto nelle sue idee, può affrancarsi da ogni sfruttamento. Naturalmente Yunus non si ferma al potere del credito economico, gli è ben chiaro il potere del “credito culturale”. Fornire alle persone il sostegno per crescere intellettualmente è l’unico vero rimedio alla povertà.

Ed oggi, di povertà culturale, ve ne è davvero tanta. Se ne è accorto anche Yunus che, esportando il progetto Grameen in tutto il mondo, si è accorto che lo sguardo perso dei ragazzi disadattati delle periferie americane non era diverso dallo sguardo delle donne chiuse in casa delle campagne pakistane. C’è tanta povertà anche qui da noi, anche tra le famiglie che vivono dignitosamente vi è una preoccupante povertà culturale. Senza una crescita culturale le prossime generazioni sono condannate ad una vita misera, peggiore di quella dei loro genitori. L’Italia rischia di diventare il “terzo mondo culturale” del terzo millennio. Vorrei poter fare qualcosa su questo punto, e la cosa straordinaria è che Yunus ha dimostrato che si può fare aderendo alle leggi di mercato. Lui non fa beneficienza, la sua è una vera banca, guadagna (che poi sia di parziale proprietà delle stesse persone che beneficiano del debito è bello ma non necessario). E come la sua vera banca produce ricchezza per se e per gli altri, io vorrei che la mia vera libreria producesse ricchezza culturale (e non solo), per me e per gli altri. Se Yunus è il banchiere dei poveri, io vorrei diventare “il librario dei poveri”, poveri culturalmente intendo, che nel mondo occidentale è una povertà anche più spietata di quella economica.

Il libro di Yunus è molto più di un libro. Anch’esso è una sorta di prestito. Ti fornisce coraggio affinchè anche tu possa diventare uno “Yunus” di te stesso, facendo ciò che vuoi davvero fare nella vita. Ed anche io, come gli altri, onorerò questo debito cercando di restituire a lui e al mondo più di quello che mi è stato dato, per il bene di tutti. Grazie Yunus.

Biwiki!

novembre 22, 2006

Ragazzi, raccogliendo la vostra proposta del wiki, ho tentato di crearne uno che fosse integrato in WordPress, per chi non lo sapesse il programma (ottimo!) che stiamo usando per portare avanti la baracca del Biblog. Pascolando in rete ho visto che si tratta di una funzionalità estremamente desiderata ma anche estremamente difficile da ottenere. Mi spiego.

Fino alla versione 1.5, in WordPress c’era una suddivisione dei privilegi molto dettagliata. In WordPress 2.0 invece sono stati creati 5 ruoli, in particolare quello dell’amministratore, dell’editore e dell’autore. Togliendo il primo, che ha la gestione completa del sito, la differenza sostanziale tra gli altri due è che l’autore può modificare solo i suoi post mentre l’editore può farlo con quello di tutti gli altri. Il problema è che l’autore non ha lo stesso diritto dei post sulle pagine. Può creare un post ma non una pagina. Quindi, essendo tutti autori, non possiamo collaborare ad un’unica pagina. Diventare tutti editori sarebbe un po’pericoloso in quanto, tranne radere al suolo il sito, potremmo fare tutto e questo è contrario al principio unixiano di non avere normalmente privilegi non necessari.

La soluzione è venuta dall’ottimo plugin “Role Manager” che permette di definire in modo atomico i privilegi degli utenti e, se necessario, di crearne di nuovi. Allora mi sono permesso di creare una pagina chiamandola “Biwiki” (la trovate in alto), e creare un profilo chiamato “biwiki” che abbia tutti i diritti degli autori più il diritto di editare le pagine. In questo modo, loggandoci tutti come biwiki, possiamo modificare la stessa pagina.

Ho inaugurato il biwiki ponendo una domanda sui filmati delle Iene che non riesco a vedere nè a scaricare dal loro sito. Spero che il Biwiki sia di vostro gradimento. Un saluto a tutti!

PS Una precisazione IMPORTANTE per GNUliano.
Non usare il profilo da amministratore per modificare la pagina del biwiki in quanto così facendo la pagina cambierebbe proprietario automaticamente e diventerebbe immodificabile per tutti gli altri.

Updated!

novembre 21, 2006

Come puoi vedere nel menu al lato, ho inserito un plugin per mostrare i post recentemente aggiornati. Ne sentivo una particolare necessità in quanto capita che due nostri post si succedano in breve tempo e quindi uno dei due finisca per essere ingiustamente oscurato dall’altro. In questo modo invece si può comodamente vedere quali nuovi post siano stati inseriti negli ultimi 3 giorni (questo dato si può far variare). Per lo scopo ho usato questo plugin che, con tua grande soddisfazione, si chiama Fuzzy Recent Updates! Finalmente qualcosa di fuzzy nella nostra vita! 😉
Ciao!

I want GNU!

novembre 21, 2006

Avevo già sentito dire altre volte che gnuplot non facesse parte del progetto GNU e non fosse coperto dalla licenza GPL ma pensavo che le differenze fossero marginali e non avessero altre implicazioni…in fondo gnuplot viene distribuito con ogni distro e quindi cosa può essere se non libero??

Invece stamattina leggevo questo interessantissimo post in cui William Stein, il creatore di SAGE, spiega chiarissimamente perchè non ha intenzione di includere gnuplot nel suo programma. La cosa mi ha incuriosito e mi ha spinto a documentarmi.

Dalle FAQ di gnuplot, rinvenibili a questo indirizzo, leggo che

  • al punto 1.2 si dice che gnuplot non deve il suo nome al progetto GNU, deriva da un improbabile (e secondo me falso) gioco di parole “new” – > “gnu” e comunque i programmatori consigliano di scriverlo minuscolo proprio per non generare errori. Ecco perchè lo scriverò sempre in tal modo e consiglio a te, gnuliano, di diventare GNUliano per evitare malintesi! 😉
  • al punto 1.7 leggo poi che gnuplot è libero nel senso di “non a pagamento” ma non è libero nel senso che puoi ridistribuirne copie modificate se non in modo assai restrittivo

Per curiosità mi sono chiesto – ma allora, se non è libero, perchè le distro lo includono? Perchè evidentemente le distro hanno delle guidelines più deboli della richieste della GPL. Persino Debian, (persino Debian!), lo include nel ramo main (eccolo) che dovrebbe includere solo software libero mentre gnewsense, la nuova distro derivata da Ubuntu ed appoggiata dalla FSF, in effetti lo include nel ramo universe (eccolo).

Questa storia mi ha insegnato una cosa molto importante. Non possiamo delegare la nostra libertà a nessuno, neanche a chi sembra affidabile come Debian. Potremmo usare gnuplot, volerlo modificare e ridistribuire ed accorgerci solo allora di aver violato la licenza. Ecco perchè inizio a pensare che, stando così le cose, neanche Debian sarà la mia distro della vita.

Ricordo che concludevo il mio post su gnewsense (eccolo) dicendo che forse un giorno mi sarei rimangiato le mie parole di critica verso quel progetto. Quel giorno è arrivato. Richard, scusami se ho dubitato di te. Non lo farò più. I want GNU!

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